Artisti ARTour
Le opere d'arte dell'ARTour Basel:
Sechs Figuren
L’opera
Sechs Figuren (sei figure), la nuova opera che Claudia Hart ha creato per l’ARTour, è un intervento nella fontana di Tinguely, un’opera d’arte realizzata dall’artista originario di Basilea Jean Tinguely nel 1977. Il contributo di Hart si concretizza nell’aggiunta di sei cariatidi (incarnazione del corpo femminile nella colonna nell’architettura greca) virtuali al giocoso andamento della scultura meccanica. Queste figure danzanti trasportano sulla testa vasi contenenti i più variegati mazzi di fiori: rose, tulipani, margherite, dalie, iris e narcisi. I fiori si mostrano in un processo continuo che li vede appassire per poi rigenerarsi nuovamente, seguendo il proprio ritmo. Il motivo del fiore che appassisce è un tema ricorrente nell’opera dell’artista che vuole così ricordare la costante presenza della morte, ma anche la posizione ancora precaria che le donne ricoprono nel mondo dell’arte. I vasi hanno forme diverse che si ispirano a oggetti storici, come le urne o i vasi più famosi dell’arte classica moderna, che Hart reinterpreta attraverso modelli tridimensionali virtuali. Incontriamo le sculture femminili di Hart a quattrocchi. Esse invitano a osservare i fiori, suggerendo l’impressione che siano appena sorti dall’acqua. L’opera è completata da una traccia acustica il cui design è da ricondurre a Edmund Campion. La composizione Processing History, adattata per l’applicazione, fa riferimento alla crescita delle cellule che si rinnovano ogni sette anni. Si tratta di un orologio biologico che ricorda la trasformazione e il passare del tempo, un processo percepibile anche nel continuo ciclo di crescita e morte dei fiori. Le figure e gli oggetti virtuali si sovrappongono a un motivo animato in movimento, anch’esso un tema ricorrente nell’arte di Hart che svolge il ruolo di una sorta di tappezzeria digitale che eleva i corpi a schermi mediatici.
A proposito di Claudia Hart
L’artista americana Claudia Hart ha studiato storia dell’arte e dell’architettura alla NYU e alla Columbia University di New York. Hart è nota per essere una pioniera nel campo delle tecnologie di XR (Extended Reality) che impiega nella sua pratica artistica sin dalla fine degli anni Novanta. Le sue opere sono incentrate su questioni quali identità e rappresentazione, e trattano in particolare il confronto e le conseguenze delle tecnologie informatiche e simulative, analizzate da una prospettiva femminista. Hart crea opere che vedono contrapporsi spazi virtuali e reali e lavora con la realtà aumentata e virtuale, con oggetti tridimensionali, ambienti virtuali e animazioni digitali. Hart è professoressa allo School of the Art Institute di Chicago dove ha sviluppato il programma didattico «Experimental 3D» che insegna le tecnologie simulative e rappresenta quindi un approccio innovativo alla formazione artistica. Le sue opere sono esposte in tutto il mondo in gallerie e musei, come ad esempio il Whitney Museum of American Art e il Museum of Modern Art di New York, ma anche la Hamburger Bahnhof a Berlino. Hart ha un approccio interdisciplinare che coinvolge diversi istituti, come ad esempio l’Eyebeam Center for Art + Technology di New York o il Center for New Music and Audio Technology presso la UC California di Berkeley.
The Cycle of Life
L’opera
Con The Cycle of Life, Andy Picci ha creato un’opera surrealista. Un oggetto tridimensionale fluttua ben visibile sul Reno. Cambia continuamente la forma, passando da una sfera a un quadrato e viceversa. Alcuni corpi si possono riconoscere più o meno chiaramente, altri appaiono solo accennati, poiché l’oggetto in questione è coperto da un telo che ne cela la forma, rivelando solo di tanto in tanto che cosa si trova sotto. Il telo stesso sembra riflettere il cielo, come uno specchio del firmamento reale che si trova al di sopra.
Nella sua arte, Picci si occupa degli effetti della digitalizzazione sulla società e sulla nostra identità. Questa ricerca del «Chi siamo?», nell’era dei social media, nella quale l’interazione tra le persone avviene sempre più per mezzo di click e like, si concretizza in opere tanto delicate quanto giocose. The Cycle of Life non rivolge lo sguardo solo all’individuo. La scultura affronta il tema del cambiamento della vita stessa, riflette le sue diverse fasi, dalla nascita alla morte, come un ciclo che si ripete incessantemente di forme e corpi che si fondono le une negli altri. La scultura rispecchia la fluidità e l’instabilità del nostro mondo digitale. Suscita la curiosità di decifrare la forma mutevole, che però resta nascosta ai nostri sguardi, come il nostro stesso futuro.
A proposito di Andy Picci
Andy Picci (Svizzera) è cresciuto in Svizzera, a Losanna. Ha studiato fotografia all’École Cantonale d’Art de Lausanne (ECAL), comunicazione visiva all’École Supérieure des Arts Modernes (ESAM) di Parigi e ha conseguito il master in Belle Arti presso il Central Saint Martins di Londra. La sua opera esplora i temi legati alla cultura delle celebrità, il nostro rapporto con i social media e la profonda ricerca dell’identità nell’era dell’iperdigitalizzazione. Dal 2010 le opere di Picci sono state esposte in numerose mostre in tutto il mondo, ad esempio all’NRW-Forum di Düsseldorf, alla König Galerie di Berlino, al Mana Contemporary di Miami, al Museum der bildenden Künste di Lipsia o ai Magasins Généraux di Parigi. L’opera di Picci comprende in egual misura musica, video, pittura, scultura e installazioni audiovisive. Picci vive e lavora a Losanna.
Souvenir, 2024
Souvenir è un’estensione dell’opera The Cycle of Life di Andy Picci. Gli ospiti vengono invitati a scattare una foto del cielo che fungerà poi da sfondo per una cartolina su cui viene apposto un timbro che indica la data e l’ora per immortalare la vostra presenza in questo luogo in quel determinato momento. Picci solleva una domanda importante: cosa significa trovarsi in un determinato luogo in un mondo in cui, attraverso i nostri dispositivi, siamo sempre connessi e quindi possiamo essere sempre ovunque? La foto diventa quindi molto più che un souvenir, trasformandosi in una vera e propria testimonianza dell’esistenza della persona. Per molto tempo le cartoline sono state il mezzo più comune per mostrare ai nostri cari i luoghi che visitavamo, pertanto questo lavoro lancia anche uno sguardo nostalgico al passato e alle tecnologie di comunicazione.
La foto personalizzata può anche essere ritirata gratuitamente in formato stampato presso le informazioni turistiche di Basilea.
Omnipulse
L’opera
Omnipulse, di Erika Marthins, si trova vicino al ciclo della Danza macabra di Basilea, presso la Predigerkirche, un memento mori che ci ricorda che prima o poi la morte arriva per tutti. Marthins ha scelto consapevolmente questo luogo per il suo intervento virtuale, per riflettere sulla durata della nostra vita e sulla rappresentazione della vita nello spazio digitale. Chi osserva si trova di fronte un raggruppamento di oggetti. Cinque corpi universali rappresentano i cinque elementi fondamentali a cui Marthins fa riferimento: la terra, l’aria, il fuoco, l’acqua e l’universo.
In collaborazione con il musicista Florin Büchel è nata una struttura sonora ispirata dal battito del cuore umano come simbolo della vita e dal ritmo della terra. Anche la terra, in quanto organismo, ha un battito cardiaco elettrico, che viene denominato risonanza Schumann. Questa risonanza ha una frequenza di circa 8 Hertz e secondo alcuni ricercatori ha un effetto calmante e rilassante sull’essere umano. Le sonorità di Omnipulse sono state sviluppate mediante un sintetizzatore analogico e modulare. Per ciascuno dei cinque oggetti è stato elaborato un suono specifico, costituito da tre parti separate: una pulsazione ritmica simile al battito cardiaco, un ronzio ad altra frequenza e un suono a bassa frequenza. Il battito cardiaco costante della terra interagisce con questi strati sonori, mentre gli spettatori si muovono nello spazio fisico, esplorando le diverse tracce sonore. In Omnipulse, Marthins ci invita a fare un viaggio meditativo attraverso lo spazio e il tempo.
A proposito di Erika Marthins
Erika Marthins (Svezia) vive e lavora a Zurigo. Ha studiato Media & Interaction Design all’École Cantonale d’Art de Lausanne (ECAL) e Architecture and Digital Fabrication all’ETH di Zurigo. Nella sua attività di designer cerca di riflettere sul nostro rapporto con le nuove tecnologie e di fare congetture sul futuro, esplorando nuove soluzioni per problemi futuri. In modo particolare, è interessata a stabilire collegamenti tra aree tematiche diverse, come ad esempio tra generi alimentari e tecnologia all’avanguardia, tra memoria e social media. Marthins ha esposto i suoi lavori in musei, festival e presso istituzioni, ad esempio presso Google, al Vitra Design Museum di Weil am Rhein o alla Milan Design Week di Milano.
Matrixx II
L’opera
Tabita Rezaire fa fluttuare un utero gigantesco sopra il reparto di ostetricia della Clinica ginecologica universitaria di Basilea, al centro di un immaginario sistema solare, come una sorta di nuova potenza planetaria. Matrixx II celebra la saggezza dell’utero come forza curativa e trasformativa. Nei suoi video e nelle sue installazioni di realtà virtuale e realtà aumentata, con la sua conoscenza sull’amore e sulla guarigione, Rezaire segue le tracce delle pratiche razziste e sessiste che hanno fatto dell’utero un luogo conteso, ad esempio attraverso lo sfruttamento delle donne di colore, fino alla maternità surrogata. Matrixx II sembra una benedizione virtuale rivolta al reparto maternità, che emana amore e una potente energia per sostenere le future madri nel loro cammino verso la maternità. L’opera non è solo un’ode a tutte le madri, ma anche una riflessione metafisica sulla nascita come inizio universale. Per questo motivo, il grembo d’oro in questo caso dona la vita al nostro sistema solare, quasi si trattasse di un’origine cosmica.
L’utero come simbolo di saggezza e forza compare spesso nelle opere di Rezaire. Matrixx II è la seconda installazione di realtà aumentata di questa serie continua. Rezaire descrive l’utero come un «portale che riceve informazioni, dove scaricare dai nostri hard disk tutto il sapere e la saggezza che vi sono archiviati». L’artista crea opere affascinanti che coniugano benessere spirituale e tecnologia, sviluppando una propria estetica, ispirata tanto alle tradizioni dei suoi antenati quanto a una cultura digitale della rete globalizzata.
A proposito di Tabita Rezaire
Tabita Rezaire (Francia) vive a Cayenne, nella Guyana francese, dove attualmente sta costituendo AMAKABA, un centro spirituale di guarigione collettiva. Ha studiato al Central Saint Martins di Londra, è istruttrice di yoga e attivista per la guarigione digitale. Le sue opere sono state presentate sia in mostre personali che collettive, ad esempio al Centre Pompidou di Parigi, al MASP di São Paulo, nelle Serpentine Galleries di Londra, al MoMa e al New Museum di New York, nel Gropius Bau di Berlino, al Moscow Museum of Modern Art di Mosca, al Museum of Contemporary Art di Chicago, all’ICA e al Victoria and Albert Museum di Londra, alla Galleria Nazionale di Copenaghen, alla Tate Modern di Londra, al Museo d’arte moderna di Parigi o anche alle Biennali di Shanghai, Canton, Kochi, Atene e Berlino.
Digital Exchange
L’opera
Digital Exchange, del duo di artisti Studio Above & Below, simula una danza virtuale di foglie di alberi locali, come quelli che si possono trovare nella Petersplatz. La forma e la struttura delle foglie digitali rispecchiano i loro modelli reali, ad esempio foglie di faggi, castagni, frassini e noci, ma nella scultura virtuale queste sono arricchite di altri «cloroplasti» digitali, gli organi che all’interno delle cellule vegetali sono normalmente responsabili della fotosintesi. L’opera è collegata a Internet, il che permette di registrare dati in tempo reale, per trasferire l’intensità dell’irradiazione solare e dei raggi ultravioletti sulla struttura superficiale delle foglie danzanti. I dati ambientali locali stimolano i «pigmenti vegetali» e modificano l’aspetto delle foglie a seconda delle condizioni meteorologiche. I fenomeni reali entrano in dialogo con le strutture digitali.
In Digital Exchange, Studio Above & Below trasferisce i processi e fenomeni naturali nello spazio digitale. La vita digitale non ha bisogno dell’ossigeno prodotto dalle piante tramite fotosintesi; tuttavia, il duo di artisti illustra chiaramente che anche gli «ecosistemi» digitali hanno bisogno di energie e risorse per la loro vita digitale. Nelle loro opere, i due artisti si interrogano su chi e che cosa alimentano questa vita. Al centro dei loro lavori pongono il rapporto dell’essere umano con l’ambiente che lo circonda. Nelle loro opere di realtà aumentata, rendono percepibili le strutture e gli effetti ecologici invisibili, dando così voce all’ambiente, per stimolarci ad agire a favore di una migliore convivenza con il nostro ecosistema.
A proposito di Studio Above & Below
Studio Above & Below è un duo di artisti e uno studio di design con sede a Londra, fondato da Daria Jelonek (Germania) e Perry-James Sugden (Regno Unito). Nei loro lavori combinano grafica computerizzata, narrazione speculativa e arte digitale per trattare il tema dei legami invisibili che intercorrono tra l’essere umano, le macchine e l’ambiente. Negli ultimi anni hanno sviluppato, a questo scopo, opere immersive e interattive basate su dati in tempo reale. I lavori del duo sono stati esposti a livello internazionale presso istituzioni come la Royal Academy, la Tate Modern e il Victoria and Albert Museum di Londra, il Today Art Museum di Pechino, la Biennale WRO di Breslavia in Polonia, la SONAR, la WIRED in Giappone, lo Hyundai Motorstudio o il Festival internazionale del cortometraggio di Oberhausen. I due artisti sono stati insigniti di numerosi premi.
be one of us
L’opera
In be one of us, del duo di artisti Monica Studer e Christoph van den Berg, sei enormi funghi fluttuano al di sopra della strada, ballando alla bizzarra musica di una polka. Il loro canto sintetico invita a partecipare e festeggiare attivamente. Nelle opere di Studer / van den Berg i funghi sono una costante che compare in variazioni sempre nuove. I funghi sono affascinanti. Dal punto di vista prettamente biologico, sono organismi ibridi, più vicini agli animali che alle piante. Sono in grado di intrecciare legami di carattere parassitario o simbiotico con altri organismi viventi e possono produrre sostanze che agiscono sull’ambiente circostante, da rimedi terapeutici e veleni fino a sostanze allucinogene e psichedeliche. Questo aspetto rende il duo di artisti letteralmente il prototipo di un nuovo mondo, nel quale l’essere umano interagisce in misura maggiore con le altre forme di vita e non si trova più da solo al centro dell’universo. Con una strizzatina d’occhio, be one of us ci invita a «diventare noi stessi un po’ più funghi», come scrivono i due. Al tempo stesso, il carattere virtuale dei funghi è evidente, la loro struttura poligonale di base viene volutamente mantenuta. Il gioco con le realtà, con il confine in continuo movimento tra la realtà fisica e l’illusione di un mondo creato in tempo reale dai computer, è un aspetto centrale dell’opera del duo di artisti. I due sono da considerarsi dei pionieri dell’arte digitale ed esplorano già da anni l’estetica degli spazi virtuali e la rappresentazione della natura con mezzi digitali.
Ogni volta che l’opera si apre appaiono nuove configurazioni di funghi. In questo modo, per ogni osservatore si crea un’opera d’arte unica. Il duo di artisti ha realizzato anche un sito web separato sull’esperienza in AR, sul quale le persone interessate si possono informare ulteriormente. Qui si trova anche un «fungible giveaway» da scaricare, un fungo in 3D personale proveniente dalla «Repubblica dei funghi».
Vai al fungible giveaway.
A proposito di Studer / van den Berg
Monica Studer (Svizzera) e Christoph van den Berg (Svizzera) collaborano come duo dal 1991 con il nome Studer / van den Berg nell’ambito dei nuovi media. Sono da annoverare tra i pionieri dell’arte basata su computer in Svizzera. La loro opera comune, con la quale sono presenti nel contesto artistico internazionale e in rete, è caratterizzata da un particolare connubio di spazi analogici e digitali. Tramite motori grafici, rendering al computer, animazioni in tempo reale, progetti basati su Internet, installazioni interattive con telecamere in diretta, applicazioni AR / VR e intelligenza artificiale, creano, nei loro setting ibridi, delicate narrazioni immaginarie che mettono costantemente in discussione gli sviluppi attuali dei media digitali.
I loro lavori sono stati esposti in numerosi musei nazionali e internazionali, ad esempio al Zentrum für Kunst und Medien (ZKM) di Karlsruhe, alla Fondation Beyeler di Riehen, alla Kunsthalle di Magonza, al Kunstmuseum di Thun, all’HEK (Haus der Elektronischen Künste) di Basilea, al Kunstmuseum di Wolfsburg o al Centre d’Art Contemporain di Ginevra. Entrambi vivono e lavorano a Basilea.
Estensione interattiva
L’estensione interattiva dell’opera be one of us vi invita a salvare il vostro personalissimo gruppo di funghi danzanti. Se avete visto l’opera dal vivo, tramite un pop-up potete collezionare il vostro gruppo di funghi personale da osservare e posizionare anche a casa utilizzando l’applicazione. In questo modo, viene offerta a tutti la possibilità di portare ovunque con sé la propria comunità di funghi danzanti.
Schaf 1.5
L’opera
Un gregge di pecore virtuale occupa la Münsterplatz di Basilea. Se ci si avvicina, le pecore iniziano a belare, poco dopo saltellano tutte insieme e si rivolgono verso chi osserva, che si ritrova improvvisamente al centro della scena e viene scrutato. Tutte le pecore si basano sullo stesso modello 3D animato e anche il loro belato proviene da una pecora sola, ma grazie a diversi filtri digitali suona in modi differenti. I tratti apparentemente individuali delle singole pecore di questo gregge sono facili da distinguere e il brusco passaggio da un movimento «naturale» a uno orchestrato fa sorgere una scena inquietante che mette in discussione la possibilità di riprodurre la natura.
Con Pecora 1.5, Marc Lee stabilisce numerosi riferimenti agli sviluppi scientifici e tecnologici: le pecore sono tra gli animali che furono addomesticati per primi e nel 1996 la pecora «Dolly» è stata il primo mammifero ad essere clonato. Inoltre, Lee esamina la crescente omogeneizzazione del nostro mondo globalizzato, che comprende tanto la perdita di biodiversità, quanto la crescente ottimizzazione degli animali da allevamento per le esigenze umane.
Lee fa parte dei pionieri dell’arte mediatica in Svizzera e ha ottenuto notorietà con le sue installazioni immersive. Nelle installazioni basate sul web, esamina per mezzo di feed dal vivo la comunicazione globalizzata dei social media, illustrando in modo poetico il nostro essere inestricabilmente coinvolti in questi flussi di informazioni. I suoi lavori attuali ruotano attorno al nostro rapporto con la natura, alla nostra responsabilità nei confronti dell’ambiente e alla questione se le nuove tecnologie come l’ingegneria genetica e la biologia sintetica possano contribuire alla soluzione dei problemi ecologici.
A proposito di Marc Lee
Marc Lee (*1969) è un artista svizzero. Utilizza l’arte contemporanea come strumento per ridefinire costantemente il modo in cui noi vediamo noi stessi e il mondo che ci circonda. A questo scopo, si diverte facendo esperimenti con le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, esplorandone gli aspetti creativi, culturali, sociali, ecologici e politici. Crea progetti artistici basati sul web e interattivi utilizzando i media e i formati più disparati: Internet, performance, video, realtà aumentata (AR), realtà virtuale (VR) e applicazioni mobili. Le sue opere sono state esposte in importanti musei e mostre, come ad esempio al ZKM | Zentrum für Kunst und Medien di Karlsruhe, al New Museum di New York, alla Transmediale di Berlino, all’Ars Electronica Festival di Linz, all’HEK (Haus der Elektronischen Künste) di Basilea, al Fotomuseum Winterthur, al MoMA di Shanghai, all’ICC di Tokyo, al Nam June Paik Art Center, alla Media Art Biennale e al MMCA di Seoul.
Bewässerung 2.0
L’opera
Nell’opera di MengXuan Sun, Irrigazione 2.0, l’artista ci si presenta, come un enorme avatar, una figura imponente le cui teste cadute a terra fungono da alimento o da offerta sacrificale, imbevendo il suolo della loro inesauribile energia. Il lavoro è l’ulteriore sviluppo di un progetto esistente. L’intera scena è incorniciata da enormi siringhe, tra le quali l’avatar dell’artista fluttua al di sopra della scena. Il suo corpo è trasparente, il midollo spinale esposto. Solo il viso è una rappresentazione realistica dell’artista, che appare anche all’interno di un fiore che essa porta con sé. Sulla sua schiena si trovano due ali o due steli di fiori che la identificano come «fiore» cosmico quasi divino, mentre delle siringhe piene le sporgono dalla schiena.
L’opera di Sun è una reazione molto personale alla pandemia che ha tenuto in scacco il mondo intero. Nei suoi lavori, Sun crea immagini digitali immersive che si ispirano alla cultura globale dei videogiochi. In un’epoca nella quale la vita sembrava limitarsi alla sfera digitale, l’artista crea un avatar la cui energia repressa si scarica irrigando il mondo che lo circonda: il digitale feconda il mondo reale. L’artista sembra attingere la sua energia dalle siringhe che apportano liquidi al suo corpo e che la circondano come un’area di protezione. L’infrastruttura medica e il progresso che ne consegue ci proteggono e ci forniscono la forza di cui abbiamo bisogno per vivere come essere umani.
A proposito di MengXuan Sun
MengXuan Sun (Cina) è un’artista che vive a Berlino e che qui ha conseguito il diploma con i massimi voti all’Universität der Künste in ambito Arte e media. Sviluppa le sue opere sperimentali per mezzo di motori grafici, descrivendo così la nascita del suo mondo spirituale tramite immagini in 3D. È membro della Society for Nontrivial Pursuits (S4NTP). È stata presente in Europa e in Asia con le sue performance audiovisive dal vivo. Per le proprie performance costruisce appositamente sistemi di controllo che regolano il rapporto tra il suono, l’elettricità e la luce. La sua arte è una sorta di viaggio di ricerca e di avventura attraverso il mondo virtuale, guidato da un forte senso per l’ignoto e dallo struggimento per un romantico futuro digitale. I lavori di MengXuan Sun sono stati esposti ad esempio a Berlino, Essen, Bonn, Shanghai e New York.
ARpothecary's Garden
L’opera
Con il suo intervento esposto nel Solitude Park, Tamiko Thiel tratta la produzione di medicamenti a base vegetale. L’artista ha scelto diverse piante, note per il loro potere curativo e utilizzate nei rimedi terapeutici da tempo, tra le altre il papavero da oppio, la digitale purpurea, il fiore d’Adone e il ricino, noto anche come albero delle meraviglie. In tal modo, fa riferimento tanto al settore di attività di Roche quanto al murale «Arzneipflanzen» (piante medicinali) di Niklaus Stoecklin, un’opera del 1936 che si trova nell’edificio 21 di Roche. Cliccando nell’app sui flaconi da farmacista, vengono rilasciate delle piante animate. Il tipo di animazione rimanda in modo diretto alla forza curativa specifica delle piante. Così nasce lentamente un campo di fiori che cantano con voci umane alla musica gioiosa e allegra di una danza, celebrando la forza guaritrice.
Thiel fa parte degli importanti pionieri dell’arte prodotta tramite VR e AR e ha realizzato mondi interattivi e virtuali in 3D già negli anni ‘90. Ha creato già più volte una flora virtuale basata su piante reali. Nelle sue opere rimanda in modo giocoso ai temi dell’ecologia e ai cambiamenti del nostro ecosistema dovuti al riscaldamento globale. Creando tramite AR realtà alternative, riprodotte nello spazio in tempo reale, ci fa gettare «uno sguardo in un’altra dimensione», come dice, stimolandoci contemporaneamente a riflettere sul nostro mondo reale.
Le voci delle piante sono state sviluppate in collaborazione con Franziska Ott.
A proposito di Tamiko Thiel
Tamiko Thiel (*1957, Oakland, Stati Uniti) vive e lavora a Monaco di Baviera. L’artista esplora le interazioni tra luogo, spazio, corpi e identità culturale. Lavora con una varietà di media che spaziano dalla stampa digitale e dai video fino agli ambienti interattivi in 3D e alle installazioni VR e AR. Ha iniziato la sua carriera come product designer, lavorando presse numerose aziende high-tech. È un membro fondatore di Manifest.AR, un gruppo di artisti che si occupa di realtà aumentata e con i quali mette in scena dal 2010 interventi spontanei, ad esempio azioni di guerriglia alla Tate Modern di Londra o alla Biennale di Venezia. I lavori di Thiel sono stati presentati in numerose mostre e importanti collezioni in tutto il mondo, come ad esempio il MoMa di New York, il SAN JOSE MUSEUM of ART o il Whitney Museum a New York. Per il suo lavoro pionieristico nel campo dei nuovi media ha ottenuto numerosi riconoscimenti.
The Jellyfish
L’opera
Le luminose meduse virtuali (jellyfish) create da Mélodie Mousset e dal suo studio Patch XR sguazzano in varie fontane di Basilea. Le spettrali creature marine fluttuano sulle vasche e incoraggiano gli utenti dell’app a interagire con esse. Le meduse possono essere controllate cantando, anche a voce bassa. L’intonazione, la vibrazione e l’intensità della propria voce animano le creature virtuali. Questa nuova opera prende le mosse da un precedente lavoro di realtà virtuale che immergeva gli osservatori in uno splendido paesaggio sottomarino interattivo, nel quale era possibile interagire con le creature marine virtuali anche con il canto. Grazie all’interazione armoniosa e allo scambio sinestetico tra osservatori ed esseri virtuali, gli artisti hanno creato in modo tanto poetico quanto giocoso un senso di connessione con un’altra specie.
I lavori di Mousset sfidano i nostri sensi e incoraggiano l’interazione. Questo è ciò che secondo l’artista rende così interessante la tecnologia VR e AR: non si è più soltanto spettatori, ma parte dell’opera, ci si trova immersi dentro. I suoi lavori oscillano spesso tra la sua propria corporeità e gli ampliamenti virtuali resi possibili da queste tecnologie. Nelle sue prime opere era ancora il corpo di Mousset ad essere rivelato per mezzo di tecnologie di diagnostica per immagini di tipo medico come MRT oppure stampa in 3D. I suoi lavori attuali ci permettono di immergerci nei fantastici e singolari mondi virtuali dell’artista, con i quali possiamo interagire tramite il nostro corpo.
A proposito di Mélodie Mousset & Eduardo Fouilloux
Mélodie Mousset (Emirati Arabi Uniti) è un’artista francese che vive a Zurigo. Ha studiato arte a Rennes, Losanna, Londra e Valencia, in California. Le sue opere oscillano al confine tra mondo virtuale e mondo fisico e si sviluppano nei media più variegati, come performance, video, installazioni, fotografie, sculture e media interattivi. I suoi lavori sono stati esposti presso istituzioni, in gallerie e festival in tutto il mondo, tra l’altro al Centre Culturel Swiss di Parigi, al MOCA di Los Angeles, al Bund Museum di Shanghai, alla Metropolitan Art Society di Beirut, al SALTS di Basilea, all’Helmhaus di Zurigo o anche al Beijing VR Festival, al VR Arles Festival e nella Zabludowicz Collection di Londra. Nel 2020 ha cofondato Patch XR, uno studio specializzato nello sviluppo di strumenti musicali e di esperienze ludiche per realtà estese (XR).
Eduardo Fouilloux (Messico) vive e lavora a Copenaghen. Lavora alla creazione di nuove modalità di gioco in tempo reale con media audiovisivi interattivi. Fouilloux è direttore e cofondatore di Patch XR.
Spatial Painting
L’opera
Spatial Painting, di Manuel Rossner, unisce due luoghi centrali di Basilea: la Marktplatz e la fiera. Un’imponente forma scultorea, composta da tre linee tridimensionali e da strutture simili a bolle, occupa lo spazio, si muove sinuosa verso il cielo per trovare altrove una propria continuazione e un equivalente. La scultura digitale di Rossner si situa nella tradizione della pittura astratta, è variopinta e ricca di contrasti e rimanda all’estetica fluida dell’era digitale, invitandoci a sperimentare con i nostri sensi colore, forma e materia nello spazio. La scultura non è statica, ma cambia ritmicamente, si espande e si contrae, una forma che respira e che sembra reagire allo spazio circostante.
Sulla scultura digitale si muove una piccola figura artificiale bianca che Rossner utilizza spesso come alter ego nelle sue opere. La figura esplora le linee e le utilizza come punto di partenza del suo viaggio alla scoperta dello spazio. Le forme sferiche rappresentano un ostacolo e quando la figura vi si imbatte si manifestano degli errori nella rappresentazione digitale, i cosiddetti glitch. Questa componente giocosa fa parte della pratica estetica dell’artista e rimanda alla progressiva gamification del nostro mondo, al passeggiare nei mondi dei giochi digitali, dove queste esperienze immateriali si coniugano alla possibilità di vivere l’ambiente fisico.
Oltre all’esperienza AR possibile tramite smartphone, Rossner presenta nell’app ulteriori immagini, nelle quali l’opera d’arte viene mostrata in fotomontaggi in tutta la sua dimensione su tutta Basilea.
A proposito di Mauel Rossner
L’artista Manuel Rossner (*1989) vive a Berlino, ha studiato alla Hochschule für Gestaltung (HfG) di Offenbach, in Germania, così come all’École nationale supérieure des Arts Décoratifs di Parigi e alla Tongji University di Shanghai. Nel 2012 ha lanciato la galleria virtuale «Float», che presenta mostre nello spazio digitale. Con l’ausilio della realtà virtuale (VR) e della realtà aumentata (AR), Rossner concepisce spazi digitali e mondi virtuali nei quali indaga sulle conseguenze degli sviluppi tecnologici sulla società e sull’arte. Le sue opere sono state esposte, ad esempio, alla König Galerie di Berlino, al Museum der bildenden Künste di Lipsia, all’NRW-Forum di Düsseldorf, al Frankfurter Kunstverein, al Grand Palais Éphémère di Parigi, alla Galerie Roehrs & Boetsch di Zurigo, alla Biennale Art Safiental e nella Hamburger Kunsthalle.